lunedì 13 ottobre 2008

L'affare Gilgel Gibe

di Caterina Amicucci
articolo pubblicato nella rubrica Terra Terra de "Il Manifesto"

Si chiama Gilgel Gibe III e sarà la diga più grande dell’Etiopia. Un muro alto 240 metri che sbarrerà il fiume Omo creando un bacino lungo 150 chilometri e compromettendo per sempre un importantissimo ecosistema fluviale dal quale dipende la vita di numerose comunità locali. Il fiume Omo nasce nella regione dell’Oromia e, scorrendo per 600 chilometri verso sud, riversa le sue acque nel Lago Turkana in Kenya. Lungo le sue sponde sono stati ritrovati resti di ominidi e utensili risalenti a milioni di anni fa e questo le è valso il riconoscimento di patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO. Ma soprattutto le vallate dell’Omo sono le terre dei Mursi, dei Bodi, dei Galeb, dei Karo ed di altre numerose etnie locali la cui vita è inestricabilmente legata a quella del fiume. Dalle sue inondazioni dipende l’agricoltura locale, dalle sue acque l’allevamento, dal suo scorrere la vita spirituale. Già in passato, crisi ambientali quali l’abbassamento del Lago Turkana, hanno condannato alcune di queste popolazioni alla fame ed alla migrazione e questo rischia di ripetersi in maniera decisamente più violenta. La costruzione della diga Gilgel Gibe III è iniziata nell’estate del 2006 grazie al consolidato rapporto fra l’EEPCo, ente gestore dell’energia elettrica interamente controllato dal governo etiope, ed un’impresa italiana, la Salini Costruttori S.p.A. molto presente in diversi paesi africani nel settore delle grandi infrastrutture. Il progetto, dal costo complessivo di 1,4 miliardi di Euro, è stato affidato alla Salini a trattativa diretta senza gara d’appalto, come prevedono sia la legislazione etiope che gli standard internazionali in materia di appalti pubblici. La stessa procedura di assegnazione del contratto aveva caratterizzato anche la realizzazione dell’impianto precedente, quello di Gilgel Gibe II più a nord, sempre sullo stesso bacino. L’impianto di Gilgel Gibe II vanta anche la discutibile partecipazione della Cooperazione Italiana, che nell’ottobre del 2004 ha concesso all’Etiopia il più grande prestito mai erogato dal fondo rotativo, 220 milioni di Euro proprio mentre l’Italia si apprestava a cancellare all’Etiopia 332 milioni di Euro di debito bilaterale. Al di là dell’incoerenza politica, altri elementi della vicenda sollevano seri dubbi sulla trasparenza dell’operazione. Il prestito è stato approvato con il parere negativo del Ministero dell’Economia e delle Finanze che rilevava l’inelegibilità dell’Etiopia ai credito di aiuto proprio perché in attesa della cancellazione del debito, e dello stesso nucleo tecnico di valutazione del Ministero Affari Esteri che, fra le altre cose, denunciava l’assenza di uno studio di fattibilità e dei costi delle misure di mitigazione dell’impatto ambientale nel piano finanziario. Tali anomalie sono attualmente oggetto di un’inchiesta della procura di Roma.

Ma a chi è destinata l’energia prodotta dalla megadiga Gilgel Gibe III? All’esportazione. L’intero potenziale generato pari a 1870 MW sarà interamente esportato in Kenya. Infatti in Etiopia, nonostante, siano cinque gli impianti idroelettrici in costruzione, solo il 12 percento della popolazione ha un reale accesso all’energia elettrica soprattutto a causa di una rete di trasmissione limitata. Non è ancora chiaro quali istituzioni finanziarie garantiranno la liquidità necessaria al completamento della diga, i lavori sono iniziati a spese del governo Etiope che sta perseguendo una preoccupante politica di reindebitamento ma, ad oggi, i finanziamenti dell’opera non sono stati assicurati. Tra i finanziatori possibili si annoverano la Banca Europea per gli Investimenti, il Governo Italiano, la Banca Africana di Sviluppo e la banca commerciale JP Morgan Chase. Appare ancora oggi necessario far capire a governi e istituzioni che i fondi pubblici destinati allo sviluppo non devono sostenere le avventure commerciali delle nostre imprese all’estero a scapito dei diritti e della sicurezza alimentare delle popolazioni autoctone, bensì essere impiegati per una reale lotta alla povertà, anche attraverso la fornitura di servizi essenziali quali l’elettricità. Ecco perché gli obiettivi del millennio sono una partita persa.

Scarica il rapporto Completo sul caso della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale


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