martedì 31 marzo 2009

Lo sguardo di un pennuto sulle grandi dighe

Il cartone animato prodotto da Counter Balance che chiede alla BEI di non investire nelle grandi dighe.

martedì 24 marzo 2009

L’acqua è un bisogno, ma non un diritto

Si sono svolti in contemporanea a Istanbul il Forum Mondiale ufficiale dell’acqua e il contro forum della società civile e dei movimenti per l’acqua. Entrambi hanno discusso dei problemi legati alle risorse idriche, ma le conclusioni sono diverse.

articolo di Caterina Amicucci pubblicato da Nigrizia Online

Si è concluso domenica 22 marzo il People's Water Forum organizzato dalla società civile ad Istanbul, in parallelo al quinto Forum Mondiale dell'Acqua. Centinaia di delegati di associazioni, movimenti e sindacati hanno ribadito che l'acqua è un bene comune ed un diritto fondamentale, facendo appello ai governi affinché il forum sia trasferito in sede ONU attraverso un processo partecipativo ed inclusivo. Durante le numerose conferenze, i partecipanti giunti ad Istanbul da 70 diversi paesi, hanno condiviso esperienze di lotta per rendere l’acqua pubblica, buone pratiche di gestione partecipata, e strategie di pressione verso governi ed enti locali che hanno portato alcuni paesi dell'America latina a riconoscere nella Costituzione che l'acqua è un diritto umano, ed una città come Parigi a tornare, a partire dal 2010, ad una gestione pubblica dei servizi idrici.

Un riconoscimento particolare è andato alla società civile turca, che in pochi mesi è riuscita a costruire una nuova fondamentale tappa per il movimento, non senza difficoltà che hanno impedito la creazione di un fronte unico. Sono state infatti due distinte piattaforme ad animare il forum alternativo a causa del mancato accordo sul dirimente tema delle dighe in Turchia, fortemente intrecciato con la questione curda. Il governo turco è infatti deciso a portare avanti un progetto di sfruttamento dei bacini del sud est dell'Anatolia – meglio noto compe progetto GAP- per la produzione di energia elettrica e la creazione di infrastrutture irrigue. Un progetto dagli impatti ambientali e sociali devastanti, che sommergerà siti archeologici antichissimi, provocherà il dislocamento di decine di villaggi curdi, e cambierà radicalmente l'ecosistema della regione.

L’aspetto ambientale è risultato essere un problema comune, condiviso durante i diversi workshop con i rappresentanti delle associazioni africane e dell'America latina, dove il paradigma delle grandi dighe minaccia la sicurezza alimentare e l'accesso all'acqua di numerose popolazioni indigene e persino l'ecosistema dell'incontaminata Patagonia.

Su un punto però l'accordo è stato unanime. Il Consiglio Mondiale dell'Acqua, promotore del forum dal 1997, è un organo illegittimo guidato dagli interessi delle multinazionali dell'acqua. Il fatto che il presidente sia Loïc Fauchon, numero uno della Società Idrica di Marsiglia, sussidiaria delle due più grandi multinazionali del settore, Veolia e Suez, la dice lunga sui veri scopi di questa organizzazione: continuare a promuovere i processi di privatizzazione dell'acqua nel nord e nel sud del mondo e la costruzione delle grandi infrastrutture idriche ad opera delle compagnie occidentali. Una lobby molto pericolosa che è riuscita a far confluire ad Istanbul moltissimi governi ed enti locali di tutto il mondo, che nella dichiarazione finale hanno stigmatizzato l'acqua come un bisogno e non come un diritto inalienabile. Pochi gli enti locali che hanno sottoscritto la dichiarazione e molto importante l'iniziativa dei governi latinoamericani presenti al Forum, che hanno guidato la stesura di un documento alternativo che riconosce l'accesso a l'acqua come un diritto umano fondamentale.

Fino adora sono venti i paesi che hanno sottoscritto la dichiarazione alternativa ( fra gli europei solo Spagna e Svizzera) ma il consenso potrebbe crescere nei prossimi mesi. Viva preoccupazione sulla dichiarazione interministeriale è stata espressa dal Presidente Generale dell'Assemblea Generale dell'ONU, Miguel d'Escoto Brockmann, che ha criticato aspramente anche il carattere privatistico ed esclusivo del Forum ufficiale. Le parole di d'Escoto sono arrivate ad Istanbul tramite la consigliera Maude Barlow, che ha partecipato anche ai lavori del forum alternativo facendo appello ad un'alleanza trasversale fra istituzioni e società civile per arrestare questo pericoloso processo di mercificazione dell'acqua. Il tema delle alleanze conclude anche la dichiarazione finale dei movimenti, che hanno richiamato alla necessità di unire le forze con le reti contadine e con chi è impegnato sul fronte del cambiamento climatico. E' sempre più evidente che l'appuntamento del prossimo dicembre a Copenaghen, dove si concluderà il negoziato sul clima, rappresenterà per la società civile globale un momento cruciale.

martedì 17 marzo 2009

La diga che asseta

articolo di Caterina Amicucci pubblicato su "Il Manifesto"

La regione del lago Turkana è la più arida del Kenya, un deserto di sabbia e pietra che segna il delicato confine con l'Etiopia, il Sudan e l' Uganda. Là l'acqua è il bene più prezioso, tanto che si cammina fino ad otto ore sotto il sole battente per riportarne a casa qualche litro. Negli ultimi anni la siccità ha ridotto sensibilmente le piogge e i corsi d'acqua stagionali restano asciutti per la maggior parte del tempo.
Questa è la terra di Turkana, Borana, Samburu e Dasanech, comunità pastorali prevalentemente nomadi, da sempre in conflitto per lo sfruttamento delle scarse risorse disponibili. Sopravvivono allevando cammelli, capre, asini e contendendosi un terra impervia e l'accesso alle poche forniture idriche disponibili.
In questo ambiente ostile il lago è una risorsa fondamentale. Per alcune comunità è l'unica fonte di acqua che, nonostante sia salina, viene utilizzata per tutti gli usi domestici e per abbeverare il bestiame. Negli anni queste popolazioni dalle tradizioni millenarie hanno diversificato l'attività produttiva dedicandosi anche alla pesca. Attraverso una rudimentale catena di distribuzione e commercio, il pesce del lago Turkana arriva sui mercati di Nairobi e viene venduto anche in Uganda. Si stima che fra pescatori, distributori, commercianti e trasportatori la pesca sia l'unica fonte di reddito per 10mila famiglie, che da queste parti significa 80mila persone.
Questo fragile sistema di relazioni ecologiche e sociali potrebbe collassare per sempre se la costruzione della diga Gilgel Gibe III arriverà a compimento. Il fiume Omo scorre per 600 chilometri in Etiopia, garantendo il 90 per cento dell'acqua del lago Turkana. E proprio sul bacino dell'Omo il sodalizio fra il governo etiope e una nota azienda italiana, la Salini Costruttori S.p.A, ha dato vita al progetto della diga di Gibe III, che potrebbe generare una crisi ambientale e umanitaria senza precedenti in una regione tradizionalmente instabile. La diga, in costruzione dal 2006, sbarrerà completamente il corso del fiume con un muro di 240 metri, 500 chilometri a nord del Lago Turkana. In Etiopia, anche la valle dell'Omo è popolata da numerosa comunità indigene che vivono di agricoltura tradizionale basata sulle piene del fiume. Durante la stagione delle piogge, le esondazioni irrigano naturalmente le terre depositando la materia organica che ne aumenta la fertilità, la stessa tecnica utilizzata dagli antichi Egizi lungo le sponde del Nilo.
Ma in termini di siccità sarà la regione del Turkana a pagare il prezzo più alto. Si stima che il livello del lago scenderà di 10-12 metri aumentando la concentrazione salina dell'acqua e compromettendo definitivamente l'uso domestico e per l'allevamento. La biodiversità acquatica sarà drasticamente ridotta, creando una crisi irreversibile dell'economia locale. I conflitti fra le popolazioni locali saranno esacerbati dal deterioramento ambientale e dall'aumento della povertà.
Tutto ciò potrebbe avvenire sotto il segno dello sviluppo. La diga avrà un costo complessivo di un miliardo e 800 milioni di euro e potrebbe ricevere il sostegno della Banca Africana di Sviluppo e della Banca Europea per gli Investimenti. I soldi dei contribuenti europei così asseterebbero ulteriormente una regione già duramente colpita dal cambiamento climatico e farebbero precipitare questa ampia zona dell'Africa subshariana in una nuova spirale di conflitti.

mercoledì 11 marzo 2009

One big pig goes to the market

Come i soldi destinati allo sviluppo della Banca Europea per gli Investimenti arrivano al sud e poi tornano al nord.